Chiamami Brontolo

giovedì, novembre 02, 2006

L’incompatibilità tra Stato pesante e meritocrazia

Tre articoli mi hanno colpito molto in questi ultimi giorni amplificando l’amarezza che in questo periodo contraddistingue ogni mia percezione dello scenario politico italiano:

1. Francesco Giavazzi sul Corriere di domenica 29 ottobre che parla del risultato di un sondaggio secondo il quale, alla domanda se preferirebbero un lavoro certo meno retribuito ad uno più precario ma molto ben retribuito, 6 giovani su 10 oggi preferiscono ancora la sicurezza del non doversi mettere in gioco al rischio di dover confrontarsi davvero con le proprie capacità e competenze e quindi con la meritocrazia, pur nella prospettiva di guadagnare di più.

2. Giuliano Da Empoli sul Riformista di lunedì 30 ottobre, che racconta come oggi si assista sì ad un fenomeno di riavvicinamento dei giovani alla politica, ma questo riavvicinamento pare concentrato a sinistra e guarda soprattutto al passato riproponendo quindi i medesime modelli della propaganda comunista della lotta di classe, del capitalismo cattivo, della classe operaia sfruttata e della difesa acritica dello status quo. Rispetto a questo articolo credo che se è vero che il fenomeno di riavvicinamento sia catalizzato soprattutto dalla sinistra, il guardare al passato e alla difesa del proprio piccolo privilegio corporativo, magari addirittura ereditato dalla famiglia, sia senz’altro condiviso anche a destra.

3. Maurizio Ferrera sul Corriere di ieri 1 novembre, che afferma come oggi l’analisi della società moderna attraverso la mera applicazione delle categorie sociologiche di classe, non è più esaustiva, in quanto la società appare decisamente molto più sfaccettata rispetto alla dicotomia borghesia/proletariato, nonostante la sinistra radicale si ostini anacronisticamente a volerla descrivere in questi termini; inoltre altrettanto anacronisticamente, non è più solo la sinistra radicale ad utilizzare tali categorie, ma esse vengono fatte proprie ufficialmente dal Governo in carica che con la Finanziaria ripropone la dinamica della lotta di classe con una dubbia politica redistributiva nei confronti della classe sociale più debole (non meglio identificata proprio perché la Finanziaria stessa cozza contro la difficoltà di individuare in modo univoco la classe debole) e affossa gli autonomi che a volte sono proprio i più a rischio nella famosa capacità di arrivare a fine mese.

Cito tutti e tre questi articoli in quanto a mio parere insieme descrivono molto bene la realtà italiana di oggi: un circolo vizioso dal quale nessuna politica o proposta sentita fino ad ora, se non quelle di poche mosche bianche, permetterà di uscire. Provo a sintetizzare questo circolo vizioso che deriva dalla mia percezione e che intravedo più chiaramente anche grazie a questi articoli.

I giovani di oggi, che dovrebbero rappresentare il futuro anche della politica e della spinta alla crescita, al rinnovamento, al miglioramento delle condizioni sociali e alla diffusione del benessere, credono fermamente che sia meglio non avere alcuna ambizione di crescita personale, alcuna occasione di misurarsi con se stessi, alcuna possibilità di trovare quella che è la modalità attraverso la quale possono attuare la realizzazione di se stessi. Hanno perso questo slancio che in teoria dovrebbe essere tipico della loro età, e preferiscono navigare in acque sicure, protetti dal liquido amiotico dello stato madre che si occupa di loro e che magari già gli ha regalato, perché ereditato dalla situazione famigliare, un privilegio corporativo di qualche tipo, anche minimo, che non vogliono rischiare di perdere mettendosi in gioco (senza necessariamente parlare di notai, dottori, avvocati, farmacisti, e via dicendo, che trasferiscono il loro privilegio direttamente ai figli, anche il figlio di un operaio in qualche modo si sente sicuro nella speranza di avere un lavoro del genere se non cambiano le cose, per altro in certi contesti possono di diritto subentrare ai genitori).

Ma come si è verificata la quasi totale perdita di slancio di fare e di realizzarsi capendo ciò che veramente piace e dà soddisfazione, in modo diverso ad ognuno di noi?

Dal mio punto di vista la causa principale del fenomeno descritto di incapacità dei giovani di mettersi in gioco e di ripiegamento nel conservatorismo è uno Stato troppo ingombrante.Tale causa diventa anche effetto (e quindi circolo vizioso) nel momento in cui appunto il fenomeno di deresponsabilizzazione degli individui, produce la necessità di uno Stato che difenda la situazione presente, anche se insostenibile, e si prenda cura di loro in ogni aspetto della loro vita.

Uno Stato che si ingerisce in ogni sfera della vita pubblica e privata dei cittadini annienta l’individualità e le peculiarità delle persone che si abituano a non riconoscerle più in loro stessi e quindi ad affidarsi totalmente allo Stato stesso; uno Stato pesante non lascia spazio alla meritocrazia e le persone si disabituano a vederne gli effetti positivi ovvero la possibilità di emergere e di avere soddisfazione per quello che si è come individui e per quello che si è voluto e riuscito a fare; uno Stato pesante non crea opportunità e se le crea è solo per remunerare coloro che lo aiutano e sostengono (amici e parenti tutti) e quindi è incompatibile anche con la possibilità di accedere alle opportunità in modo paritario indipendentemente dall’appartenenza ad un certo ambiente sociale solo grazie alle proprie capacità.

Ecco, dopo anni di Stato ingordo le persone in generale e i giovani in particolare, sono sempre meno abituati a vedere esempi di gente che ha raggiunto risultati di qualunque tipo attraverso la meritocrazia, ma solo sempre più spesso attraverso dubbie relazioni con il potere, questo contribuisce a creare un’insoddisfazione diffusa che si traduce nel rifiuto acritico del sistema in cui viviamo. Poiché nessuna (o quasi) forza politica in campo fornisce (ha interesse a fornire) proposte di riforma concrete per le quali questo stato di cose possa cambiare e non propone né un’analisi delle cause né tanto meno delle soluzioni, tale rifiuto acritico viene spesso sfruttato dalla sinistra radicale che, grazie al suo capillare radicamento nel territorio, riesce molto meglio che a destra, ad incanalarlo nello stereotipo del capitalismo corrotto, del capitalismo panacea di tutti i mali, cercando quindi di difendere ogni privilegio che la non meglio identificata classe operaia ha conquistato contro il padrone sfruttatore, senza pensare che ciò è insostenibile e senza dubbio non permette di migliorare le condizioni di vita generali. D’altro canto però non mi pare che la destra faccia altrimenti, anzi tende anch’essa a incanalare il consenso attorno alla difesa di tutti i privilegi acquisiti dalle corporazioni e quindi dai loro giovani figli, che culturalmente guardano a questa parte politica, contribuendo a non fare chiarezza sulla causa di questa mancanza di aspirazioni, anche e soprattutto in un momento in cui la desta potrebbe avere finalmente il ruolo importante di fare la differenza.

Naturalmente ciò che sta facendo il Governo attuale amplifica ancor più l’effetto descritto della mancanza di coraggio di mettersi alla prova di capire le proprie inclinazioni assecondarle e svilupparle: una Finanziaria che dà nuova importanza alla lotta di classe, contrapponendo ufficialmente la borghesia cattiva a una non meglio identificata classe debole ovviamente buona in una categorizzazione semplicistica della società italiana quando la maggior parte degli studiosi più accreditati non ritiene che tale semplificazione sia più (o sia mai stata) esaustiva per descrivere la complessità della società odierna, significa volere continuare a mantenere questo stato di cose e alimentare la mancanza di comprensione della realtà da parte del popolo. Significa crearsi la legittimazione per continuare promuovere uno Stato che si occupa di ogni sfera della nostra vita.

E mettere pubblicamente alla gogna il lavoro autonomo e le piccole e medie imprese come sta facendo con una subdola campagna propagandistica questo Governo, additandoli come evasori che quindi agiscono contro lo stato contro la legalità contro il popolo che vive nell’illusione che lo Stato sia il bene, non fa che alimentare il desiderio di arroccarsi in ciò che si ha anche se è poco, piuttosto di rischiare di mettersi alla prova, soprattutto se poi la contropartita è quella di essere perseguitati come evasori o semplicemente di non riuscire a sopravvivere perché contrastati dallo stato-padrone che ha tutto l’interesse a non incentivare la meritocrazia. Ed è qui che la causa diventa effetto in quanto lo stato ingordo crea la percezione di essere necessario nel popolo, il quale di conseguenza lo vuole e lo difende.

Credo che la classe politica di oggi, sia di destra che di sinistra, per mantenere lo strapotere dell’apparato statale dal quale loro stessi traggono o hanno tratto innumerevoli benefici, abbia tutto l’interesse ad incentivare atteggiamenti disfattisti di questo tipo, anziché fornire la giusta analisi del problema e soprattutto una soluzione in senso libertario. Non sento alcuna denuncia chiara che, se mai fosse possibile una distinzione netta tra sfruttati e sfruttatori, i primi saremmo tutti noi e i secondi coloro che spingono per aumentare l’ingordigia dello Stato. Sento soltanto molto chiaramente (a parte pochi e sporadici esempi) la volontà di mantenere tutto così com’è.